17 aprile 1944: prima dell’alba il Quadraro, famoso “Nido di Vespe” di Roma dove i fascisti non avevano mai avuto il coraggio di entrare, viene circondato dai soldati nazisti e tutti gli uomini compresi i ragazzi vengono rastrellati. 947 si dice fossero quelli che furono portati inizialmente all’interno del cinema “Quadraro”. Furono poi temporaneamente concentrati all’interno degli studi cinematografici e poi deportati rapidamente in Germania.
Non erano ebrei, ma al contempo erano pericolosissimi prigionieri politici, sulle loro vesti era cucito un triangolo rosso anziché la stella gialla che spiccava su giacche e magliette degli ebrei.
Tra di loro c’era un giovane di 20 anni, si chiamava Sisto Quaranta, numero di matricola “o2 592”, che intelligentemente dichiarò di essere un elettricista e fu quindi messo a lavorare, gratis, in una fabbrica tedesca. Al contrario di coloro che non erano utili al nazismo e che rimasero al freddo e ostaggio di criminali che giocavano con le loro vite, Sisto riuscì a sopravvivere per circa un anno in relativa tranquillità. All’arrivo degli americani, a maggio del 1945, a Sisto, ormai provetto elettricista viene proposto di andare a lavorare negli Stati Uniti, ma lui, sentendo nostalgia del suo paese, volle ritornare velocemente al Quadraro.
E qui torna e ci resta fino a ottobre scorso, per la precisione al 5, quando, novantatreenne, ci lascia per sempre. Fino all’ultimo giorno della sua vita, si è impegnato a tenere viva la memoria perché “i giovani devono sapere”; e il suo impegno è stato quello di divulgare il più possibile i suoi ricordi.
E oggi, per il settantacinquesimo anniversario del rastrellamento del Quadraro, Diavù, punta di diamante delle avanguardie artistiche romane, quadrarino D.O.C. ha realizzato, su un muro che fisicamente divide il Quadraro, un grande ritratto di questo ragazzo, così che chiunque passi per via Decio Mure e ignori la vera storia di questo quartiere, inizi a porsi delle domande.
come un guscio Sisto Quaranta da giovane si apre per mostrare se stesso ormai novantenne
l’ambiente
si avvicinano i primi cittadini
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Poco più in la, spicca un rifacimento pittorico, sempre opera di Diavù, di una delle statue più importati dell’arte in assoluto. Si tratta del “Galata morente“, in origine bronzo di epoca ellenistica attribuita allo scultore Epigono, rivisitato anche dagli artisti romani che ne hanno realizzato varie copie marmoree. La più importante, attribuita ad artista ignoto, è oggi custodita nei Musei Capitolini di Roma.
Il guerriero galata, con un volto spiccatamente realistico, di probabili origini celtiche, esprime magistralmente il dolore dello sconfitto accentuandone il valore e il coraggio, nonché la forza del suo vincitore. Ecco il galata realizzato da Diavù
il pezzo
Il giorno che non c’è più un sogno
vi prego non svegliatemi
La linea della vita
fatta tutta quanta ad ostacoli
E’ la pace sulla pelle
tra le guerre dei fanatici
l’abisso che soddisfa
con il vizio dei miracoli
Questa poesia, frutto dell’estro creativo dei “Cor Veleno” gruppo musicale rap romano, che entrerà a breve in una loro canzone, incornicia splendidamente il galata morente.
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Da segnalare infine, che il grande muro oggetto dell’intervento artistico di Diavù, vuole essere una murata a tutti gli effetti; molto spazio è stato volutamente lasciato disponibile affinché venga preso dai writers e venga contaminato con pura arte di strada, magari, se possibile, realizzando pezzi attinenti la vita del quartiere, ma questa è solo l’idea di chi scrive. Intanto lo street artist Teddy Killer vi ha realizzato il primo prezzo, un simbolico 947, il numero dei deportati di quel famigerato 17 aprile 1944. Affinché la storia non si ripeta.
il pezzo di Teddy Killer
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Work in progress